Servizi deviati: di nuovo e sempre!
Politici spiati e minacciati dai servizi segreti? L’interrogativo tiene banco in queste ore nei palazzi della politica romana, e presto sarà al centro dell’attenzione della procura di Reggio Calabria dov’è pendente un’inchiesta che ha come parte lesa il parlamentare del Pdl, Italo Bocchino, uno dei parlamentari che sarebbero stati minacciati e pedinati.
Troppe coincidenze fanno da sfondo a una vicenda oscura che coinvolgerebbe altri esponenti politici oltre al vicepresidente dei deputati del Pdl che quand’era al Copasir criticò l’opera di smantellamento delle «reti» del Sismi in Irak all’indomani del ciclone Abu Omar.
Per iniziare a districarsi in questo ginepraio occorre dare un’occhiata alla domanda di autorizzazione a procedere dell’acquisizione dei tabulati telefonici di Bocchino inoltrata alla Camera dal procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. Il quale, in merito all’indagine che sta conducendo la collega pm Carmela Squicciarini, riporta una nota del sostituto dove si ricostruisce parte della storia.
Questa: il 1º febbraio scorso Bocchino si presenta alla polizia postale e presenta una querela contro ignoti per aver ricevuto sul suo cellulare personale, il giorno prima, alle ore 20.44, un sms di minacce. Le prime indagini permettono di risalire a un numero che apparterrebbe a una cabina pubblica di Reggio Calabria. Per andare avanti con gli accertamenti sui tabulati, però, c’è bisogno di un’autorizzazione della Camera.
«Ciò posto – scrive infatti il pm Squicciarini – l’identificazione del mittente, autore del reato, non può che avvenire previa acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico, limitatamente al giorno ed alla fascia oraria di interesse dell’utenza in uso al querelante, al fine di individuare esattamente la postazione telefonica utilizzata e quindi di verificare l’eventuale presenza di servizi di videosorveglianza ivi installati, che abbiano ripreso il soggetto intento a scrivere l’sms e/o a ricostruire la storia del mezzo di pagamento utilizzato al fine di risalire all’utilizzatore della carta prepagata, o di altra carta di pagamento, sulla scorta del traffico telefonico che risulti essere prodotto con il medesimo mezzo di pagamento».
La procura chiede soprattutto di poter visionare i tabulati di Bocchino «limitatamente al periodo compreso tra le ore 20 e le ore 21 del giorno 31 gennaio 2010». Che poi è lo stesso arco di tempo in cui sempre da Reggio Calabria, sempre dallo stesso numero, un minuto prima, e un minuto dopo le minacce a Bocchino, altri sms di minaccia venivano recapitati sui cellulari riservati di almeno altri due importanti 007. E se l’utenza di Bocchino poteva essere a conoscenza di più persone, i numeri dei funzionari dei servizi segreti erano sconosciuti a tutti, tranne a Forte Braschi.
Le minacce via sms, dunque, sembrano scritte dalla stessa mano. A che pro? Non è dato saperlo. A meno che non si voglia dare credito alle voci di pedinamenti, da parte di elementi distaccati del Sismi in un «raggruppamento», che avrebbero interessato altri politici, tra cui lo stesso Bocchino. Il quale sarebbe stato avvertito di queste «attenzioni» particolari da un «addetto ai lavori».
Di ciò l’esponente del Pdl avrebbe anche discusso a quattr’occhi con l’ammiraglio Bruno Branciforte, successore di Pollari alla guida del Sismi per nomina del governo Prodi. Il quale proprio a Bocchino avrebbe chiesto un appuntamento per spiegare che lui non sapeva niente delle «voci» circa l’esistenza di una struttura, alle sue dirette dipendenze, che pedinava politici e ministri.
Richiesto di una conferma o di una smentita, Italo Bocchino si è trincerato dietro un cauto no comment: «La questione è estremamente delicata, di questo non parlo certamente coi giornalisti. Confermo solo, visto che c’è una richiesta di acquisizione dei tabulati, l’inchiesta di Reggio nata in seguito ad alcune strane minacce che ho ricevuto sul mio apparecchio. Sul resto non dico niente. Se, e quando, il magistrato riterrà opportuno convocarmi, allora in quella sede dirò tutto ciò di cui sono venuto a conoscenza».
A dirla tutta, già a metà novembre Bocchino era stato fatto oggetto di avvertimenti minatori («Bastardo agente segreto»), provenienti stavolta da una cabina pubblica alle periferia est della capitale. E sempre a novembre ad alcuni 007 erano giunti avvertimenti simili
Si fa, dunque, irrespirabile l’aria nell’Aise, scosso sia dalla bufera giudiziaria che ha defenestrato l’ex direttore Nicolò Pollari, sia dalle rivelazioni di Francesco Cossiga – uno che di intelligence sa più di chiunque altro – che il 15 luglio denunciava «l’irritualità» di contatti segreti tra 007 e pm avvenuti prudenzialmente, guarda la coincidenza, da una cabina telefonica dentro l’Aise. Ancora Cossiga il 28 luglio scorso denunciò intercettazioni e pedinamenti di 007 «a membri del governo».
E il 2 ottobre, interrompendo un’intervista col Giornale, rispose in modo piccato al suo interlocutore: «Ma ti rendi conto? Io pedinato da una Punto bianca, la mia scorta se ne è accorta, e sai di chi era? Dell’Aise, era. Dove vogliamo arrivare? Davvero vuoi che la prossima volta faccia un’interrogazione con numero di targa e meno degli occupanti?».
In questo clima di caccia alle streghe c’è chi ha rispolverato un’altra strana storia che ha per oggetto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Tempo addietro, nei pressi della sua abitazione, la scorta si accorse di un’auto sospetta sotto casa. Fece un controllo e le persone che sedevano nell’abitacolo si qualificarono come carabinieri alle prese con un’indagine. Gli angeli custodi del ministro si appuntarono i nomi e i numeri di targa. L’indomani svilupparono i controlli: ai carabinieri, però, quei nomi non risultavano, eppoi la macchina era stata presa a noleggio.
Da chi? Dall’Aise. Che si giustificò spiegando che «ovviamente» non era il ministro l’oggetto del loro appostamento ma una società cinese di un palazzo di fronte. L’entourage del ministro oggi conferma che effettivamente l’utilitaria sotto il palazzo era dell’Aise ma che, «ovviamente», non era lì per Roberto Maroni bensì per indagini che riguardavano ben altre questioni. Una coincidenza, l’ennesima. «Ovviamente».
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