La strana morte del boss pentito oppure una esecuzione h-a cielo aperto occultata
Schiavone deceduto in ospedale. Sotto sequestro salma e cartella clinica
È morto ieri mattina all’improvviso, all’ospedale di Viterbo dove era ricoverato. Ma è un giallo il decesso dell’ex boss della camorra dei Casalesi Carmine Schiavone, nato a Casal di Principe, nel Casertano, 72 anni il prossimo 20 luglio.
Poco prima delle 11,30 ha avuto un tremore per tutto il corpo, ha sollevato il busto e poi è crollato sul letto.
Mercoledì scorso era stato sottoposto a un intervento chirurgico alla schiena dopo essere caduto dal tetto di casa sua ed essersi fratturato una vertebra. L’operazione era riuscita, muoveva le gambe, pare avesse scampato il pericolo di rimanere paralizzato. Stava per essere dimesso, forse giovedì o venerdì prossimi, per sottoporsi a fisioterapia. Poi il decesso. La causa ufficiale della tragedia è arresto cardiaco. Ma i carabinieri vogliono vederci chiaro. Hanno messo i sigilli alla documentazione medica del paziente eccellente, hanno sequestrato la salma in attesa che la magistratura disponga l’autopsia e hanno interrogato i parenti del pentito. Ricostruendo i fatti, sembra che gli investigatori non abbiano dubbi: l’ex boss avrebbe perso la vita per cause naturali. Aveva qualche problema al cuore e l’intervento subìto potrebbe aver scatenato reazioni imprevedibili e mortali. Però i carabinieri del colonnello Mauro Conte non intendono escludere alcuna ipotesi. Soprattutto considerando chi era Carmine Schiavone.
Era l’uomo che nel ’93 ha iniziato a collaborare con la giustizia. Che con le sue dichiarazioni ha incastrato i vecchi sodali di camorra e li ha fatti condannare all'ergastolo nei processi Spartacus I e Spartacus II, "gemelli" del maxiprocesso alla mafia dell’86 istruito dal giudice Giovanni Falcone. Era l’ex camorrista che nel gennaio 2009, in una lunga intervista a Il Tempo , aveva rivelato l’esistenza di rifiuti tossici (motivo del suo pentimento) sepolti nel Casertano, scatenando lo scandalo che ha preso il nome di "Terra dei fuochi", per i fumi che si sollevano dal terreno provocati dalle alte temperature raggiunte dall'immondizia sottoterra. Sfogandosi con il giornale, aveva ricostruito le sue vicende criminali. Aveva ricordato gli anni passati con i Casalesi dei quali era diventato l’"amministratore delegato", colui che aveva le chiavi della cassa spartendo i luati guadagni con gli altri capi, in primis con il cugino Francesco Schiavone, detto Sandokan, ai vertici dell’ala militare dell’organizzazione. Aveva rivelato che entrambi avevano stabilito chi sarebbe stato il nuovo "padrino" del clan. Doveva essere l’ultimo dei sette figli di Carmine Schiavone, Antonio: «L’unica rosa del mio giardino», come lo definiva lui. Ma era stato pure il motivo per cui si era opposto alla sua incoronazione, cercando invece di tenere quel ragazzo lontano dalla sua vera identità, saputa dal figlio solo all’età di 17 anni. Prima gli dicevano che il padre era un funzionario del ministero dell’Interno.
Ma Schiavone era anche un uomo che aveva perso fiducia nella giustizia. Da pentito era diventato l’anti-pentito. Simbolo pericoloso e a tratti scomodo. Diceva che erano pochi i magistrati di cui si era potuto fidare. Raccontava che poteva contare sulle dita di una mano poliziotti e carabinieri di cui non dubitare, e che solo loro lo accompagnavano nei vari tribunali italiani ed esteri durante le sue deposizioni nei vari procedimenti penali. Aveva ricordato quando un maresciallo cercò di avvelenarlo con la stricnina. Aveva accusato qualcuno dello Stato dicendo che voleva "bruciarlo" facendo circolare il suo vero nome per farlo uccidere. Un’intervista che sembra un testamento.
http://www.iltempo.it/cronache/2015/02/23/la-strana-morte-del-boss-pentito-1.1381617
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