Italia, il lungo addio del generale Ganzer
Mario Di Vito
@delniente
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“Un grande servitore dello Stato”. Definizione che brilla come una delle tante medaglie che costellano la sua divisa da supercarabiniere. Da oggi, però, il generale Giampaolo Ganzer sarà per sempre un ex. “Sopraggiunti limiti d’età”, il tramonto dell’eroe, la pensione. Lui – 63 anni compiuti a marzo – l’ha presa con stile: “Noi militari sappiamo controllare le emozioni”. Ma il cuore gli scoppia. “Adesso – continua Ganzer – mi dedicherò all’arte classica greca e romana”.
L’ultimo assolo della sua carriera, il generalissimo l’ha piazzato un mese fa: dieci arresti e ventiquattro denunce di presunti affiliati alla Federazione Anarchica Informale, il mulino a vento che da dieci anni infesta i suoi incubi. Il fascicolo d’indagine con la sua prestigiosa firma in calce parla degli attacchi a Equitalia e ai Cie, persino della gambizzazione di Adinolfi a Genova. Un’uscita di scena tra i fuochi d’artificio per l’uomo che da ragazzo sognava di diventare un grande investigatore e, per questo, entrò sedicenne alla Nunziatella di Napoli. Poi, l’accademia militare di Modena e due lauree: giurisprudenza e scienze politiche.
Da lì, una serie di operazioni clamorose tra Roma, Genova, Bologna, Palermo, Udine e Padova. Solo per citarne alcune: il pentimento di Michele Galati – capo della colonna veneta delle Br –, la liberazione di Carlo Celadon, rimasto prigioniero per 831 giorni, la soluzione del caso Snaidero, svariate operazioni antimafia con Giovanni Falcone. Fu così che, dieci anni fa, arrivò la fortissimamente voluta conquista del gradino più alto delle investigazioni speciali in Italia.
Gli ultimi tempi, però, si sono rivelati amarissimi per il generale. Una serie di inchieste giudiziare, una condanna per droga, voci, sussurri, mezze parole su tanti fatti misteriosi che, probabilmente, nessuno riuscirà mai a chiarire fino in fondo.
Lunedì 12 luglio 2010. Il tribunale di Milano condanna in primo grado il generale Giampaolo Ganzer a 14 anni di prigione, 65mila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici per traffico internazionale di droga. Il processo andava avanti da cinque anni e nella sua storia poteva contare sul numero record di oltre 200 udienze. La sentenza racconta di un Ganzer disposto a tutto pur di fare carriera, in una clamorosa lotta senza quartiere al narcotraffico. Una lotta che – sostiene il tribunale – passava anche per l’importazione, la raffinazione e la vendita di quintali di droga. Il fine giustifica i mezzi, si dirà. Ma, intanto, l’accusa chiese 27 anni di prigione per il “grande servitore dello Stato”, che “dirigeva e organizzava i traffici”.
L’indagine su Ganzer nacque per merito del pm Armando Spataro che, nel 1994, ricevette dal generalissimo l’insolita richiesta di ritardare il sequestro di 200 chili di cocaina. Il Ros sosteneva di essere in grado di seguire il percorso dello stupefacente fino ai compratori finali. Spataro firmò l’autorizzazione, ma i i carabinieri procedettero comunque, per poi non dare più notizia dell’operazione per diversi mesi, cioè fino a quando, di nuovo Ganzer se ne uscì con la proposta di vendere il carico di cocaina sequestrata a uno spacciatore di Bari. Spataro – verosimilmente con gli occhi fuori dalle orbite – ordinò la distruzione immediata di tutta la droga.
Quasi vent’anni dopo, la procura di Milano avrebbe sostenuto che i carabinieri agli ordini di Ganzer fossero al centro di un traffico enorme e “le brillanti operazioni non erano altro che delle retate di pesci piccoli messe in atto per gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica”.
La prima vera, grande, pietra miliare dell’inchiesta è datata 1997, cioè, quando il giudice bresciano Fabio Salamone raccolse la testimonianza di un pentito, Biagio Rotondo, detto “il rosso”, che gli raccontò di come alcuni agenti del Ros lo avvicinarono nel 1991 per proporgli di diventare una gola profonda dall’interno del mercato della droga. Rotondo si sarebbe poi suicidato in carcere a Lucca, nel 2007. Secondo l’accusa, i “confidenti del Ros” – reclutati a decine per tutti gli anni ’90 – erano degli spacciatori utilizzati come tramite con le varie organizzazioni malavitose. L’indagine – che negli anni è stata rimpallata tra Brescia, Milano, Torino, Bologna e poi di nuovo Milano, con centinaia di testimonianze e migliaia di prove repertate– sfociò nella condanna del generalissimo e di altri membri del Reparto, che, comunque, sono riusciti tutti ad evitare le dimissioni – e il carcere – poiché si trattava “solo” di una sentenza di primo grado.
Il nome di Ganzer viene messo in relazione anche con uno strano suicidio, quello del 24enne brigadiere Salvatore Incorvaia che, pochi giorni prima di morire, aveva detto al padre Giuseppe, anche lui ex militare, di essere venuto a conoscenza di una brutta storia in cui erano coinvolti “i pezzi grossi”, addirittura “un maresciallo”. Incorvaia sarebbe stato ritrovato cadavere il 16 giugno 1994, sul ciglio di una strada, con un proiettile nella tempia che veniva dalla sua pistola di ordinanza. Nessuno ebbe alcun dubbio: suicidio. Anche se il vetro della macchina di Incorvaia era stato frantumato, e non dal suo proiettile – dicono le perizie – che correva nella direzione opposta.
Altra brutta storia che vede protagonista Ganzer – questa volta salvato dalla prescrizione – riguarda un carico di armi arrivato dal Libano nel 1993: 4 bazooka, 119 kalashnikov e 2 lanciamissili che, secondo l’accusa, i Ros avrebbero dovuto vendere alla ‘ndrangheta.
Zone d’ombra, misteri, fatti sepolti e mai riesumati. Tutte cose che ora non riguarderanno più il generale Giampaolo Ganzer, già proiettato verso una vecchiaia da amante dell’arte. Fuori da tutte quelle vicende assurde, ma “nei secoli fedele”.
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